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Cronache dell’Armata: Partite perfette, parità e corride

Secondo l’indimenticato cronista sportivo Gianni Brera la partita perfetta è quella che termina con il risultato di 0 a 0.
Ragionamenti da palla sferica che apparentemente hanno poco a che spartire con il rugby.
Nel mondo ovale l’incredibile simmetria di un punteggio così “tondo” non può che far storcere il naso.
Sui campi di rugby, soprattutto quelli dove l’erba è cosa rara, una partita senza mete è considerata poco meno di un’eresia.
Tuttavia, a ben pensarci, l’adagio di Brera può funzionare, almeno in parte, anche in questo strano mondo.
Per i rugbisti la partita “perfetta” non è però quella che termina senza vincitori, ma quella che, una volta terminata, perde di vista il risultato.
Non quella con un pareggio sul tabellone, ma quella in cui entrambe le squadre possono tornare negli spogliatoi con la certezza di aver dato il meglio.
Non quella senza mete e nemmeno quella senza errori, ma quella che lascia senza rimpianti e senza strascichi.
Quella in cui i giocatori, quale che sia il risultato in campo, condividono insieme con serenità e in allegria il terzo tempo.
In questo senso possiamo affermare con tranquillità che quelle dello Scampionato – terminato sabato, sull’accogliente campo del Pordenone, con il suo evento finale – siano state tutte partite “perfette” (o molto vicine ad esserlo).

Così è stato anche sabato, in quella finale che non segna la fine di nulla, ma che, anche dopo 10 anni, rappresenta solo il momento di passaggio verso stagione successiva.

A proposito di “parità” e di partite perfette, in questa occasione è stata “perfetta” la scelta di rendere onore alle donne che scendono in campo con gli Old e che, con infinita pazienza, partecipano anche ai festeggiamenti che seguono (che nell’Armata è una sfida impegnativa).

Infine come scrive Garcia Lorca “eran las cinco en punto de la tarde” (minuto più minuto meno) che “Toro” è finito azzoppato nell’arena, allo stesso modo di un toro coraggioso.
Proprio come scrive Hemingway (in “Morte nel pomeriggio”): “Nessuno è in grado di dire, vedendo un toro da combattimento nel corral, se il toro sarà coraggioso nell’arena; ma di solito quanto più il toro è quieto, tanto meno sembra nervoso, e più è calmo, tante più possibilità ci sono che si riveli coraggioso. [….] Il toro veramente coraggioso non dà avviso prima di caricare, eccetto che fissa gli occhi sul nemico, rizza la cresta di muscoli sul collo, contrae l’orecchio e mentre carica alza la coda. Un toro assolutamente coraggioso, se è in condizioni perfette, non apre mai bocca, non fa nemmeno uscire la lingua durante l’intero combattimento, e alla fine, con la spada in corpo, tende all’uomo finchè lo reggono le gambe, con la bocca serrata per non lasciare uscire il sangue…”

Michele “Eta Beta” Lacchin

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