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A LEZIONE DA CROWLEY

È nata una collaborazione tra Rugby Mirano e l’associazione no profit Stella Polare. Quest’ultima, da un’idea di Piero Bovo, vuole essere un riferimento, una guida e l’ispirazione per i giovani atleti del futuro. Da questo mix, tra chi i giovani di talento ce li ha e chi vuole ispirarli, lunedì 8 aprile è iniziato un percorso insieme. Infatti, come primo progetto, il duo ha voluto regalare alla società rugbistica e a Mirano l’opportunità di ospitare un grande rugbista e una persona meravigliosa presso il teatro di Villa Belvedere.

Ora pensate all’annunciatore dello Stadio del Monigo e alla sua voce che, dopo aver presentato tutta la squadra che scenderà in campo per la partita di turno, annuncia l’allenatore: ospite della serata è stato Coach Kieran Crowley. Colui che ha parlato durante questa serata di rugby ed educazione è sia un grande allenatore – ora della Benetton Treviso – ma prima di tutto è stato un ottimo giocatore. Infatti nel 1987 fu anche Campione del Mondo insieme agli All Blacks. Sì, i neozelandesi, la massima potenza rugbistica al mondo per i quali giocò come fullback. Originario di Taranaki, squadra per la quale ha avuto il privilegio di vestire la maglia per ben 200 volte come pochi altri, ha collezionato 19 caps con la maglia dei Tutti Neri.

Ora lui, insieme al suo staff tecnico, sta portando avanti un progetto rugbistico a Treviso con la squadra del Benetton Rugby che, ad oggi, non ha mai collezionato così tante vittorie in un campionato. Infatti, durante questo PRO14 – ex campionato celtico, poi PRO12 e ora denominato così – anno 2018/2019 le vittorie della squadra sono fin’ora 10 su 19 senza contare anche i 2 pareggi collezionati. I Leoni, tra l’altro, sono tornati vittoriosi lo scorso sabato da quel di Dublino contro i campioni in carica – nonché primi in classifica, ndr – gli irlandesi del Leinster. Ora sono in sesta posizione a parimerito con i Cardiff Blues mentre per la Challenge Cup c’è mancato veramente un soffio per la prima qualificazione nella storia del Benetton e delle squadre italiane ai quarti di finale.
Pavanello mi ha chiesto un cambiamento quando sono arrivato, sia di attitudine che di mentalità dei giocatori. Si sono visti dei cambiamenti e dei miglioramenti graduali. Cambiare la mentalità dei giocatori è alla base.” così racconta Kieran verso la fine dell’incontro incentrato su cosa serva ad un giocatore per diventare professionista, sulla sua tipologia di coaching e anche qualcosa riguardo le sue origini.

Gran parte della serata è stata dedicata al suo paese d’origine, Kaponga, piccola città di poco più che 200 persone nella parte sud della regione di Taranaki. Dai suoi estremi allenamenti autonomi alla vita in fattoria, nei racconti dell’allenatore del Treviso si sentiva il vero attaccamento a quella piccola città che gli ha donato tutto. A partire dai 5 anni lì si comincia a praticare il rugby durante le giornate scolastiche. Poi ogni sabato ci sono le partite tra le squadre delle varie scuole dei dintorni e poi due allenamenti a settimana. Il resto erano corse in solitaria, mungitura delle mucche e allenamento con i fratelli nel giardino di casa dove si erge un H per le prime prove dei suoi calci.

Cominciò ad allenare proprio lì, a Kaponga, nella piccola società per la quale giocava e che contava solo 25 giocatori per la prima squadra. Poi è passato ad allenare la Nazionale giovanile degli All Blacks, a fare il selezionatore fino a decidere di aver bisogno di crescere ancora, accettando di allenare la Nazionale canadese per ben sei anni a partire dal 2008 ed infine di spostarsi a Treviso per la stagione del 2016/2017. “Il problema degli allenatori di oggi è che gli manca la gavetta prima di cominciare ad allenare effettivamente. Dalla segnatura delle linee del campo, al fare il taxi per i ragazzi, al conoscere i propri giocatori: questa è la gavetta necessaria. La mancanza di queste basi si sente negli allenatori che non le hanno mai provate. A Kaponga ho iniziato così.

Dai suoi primi passi nel mondo del rugby alla sua coaching philosophy il passaggio è stato naturale. Così come ricollegarsi al lavoro fatto da quando ha iniziato ad allenare la prima squadra italiana a livello nazionale con base a Treviso. Le sue idee e i suoi spunti sono stati accolti dal teatro in completo silenzio. Ha spiegato concetti sia utopistici che imprescindibli e stoici al tempo stesso sul come creare una squadra e dei giocatori a livello professionale. Dal creare un ambiente ideale per tutti al cambiare l’attitudine negativa che avevano nell’affrontare le sfide; dal ripassare le nozioni di base al lavorare costantemente sulla preparazione atletica e sul rugby specifico. Insieme a tutto questo Crowley non fa mancare ai suoi giocatori dei piccoli momenti di svago e giochi pur sempre indirizzati a rinforzare la resistenza e a migliorare sempre più le mani del giocatore. “Non importa se sei un numero 1 o un 15 ma devi sapere passare la palla ed avere belle mani.

C’è stata inoltre ad una parte dell’incontro destinata alla spiegazione del gioco italiano dal suo punto di vista, rimpolpato e sottolineato da molte domande che poi gli sono state fatte. Il Coach della Benetton ha incoraggiato e risposto ai più disparati quesiti usciti dai presenti, che fossero giocatori o allenatori, o genitori.

La serata si chiude con tante risposte e idee più chiare riguardo a molti fattori che girano intorno alla palla ovale ma anche delle persone che di rugby vivono. Ha spiegato come ognuno, che sia un giocatore professionista o meno, abbia le proprie paure: “Le prime volte in cui ho giocato con la maglia degli All Blacks avevo paura. Avevo paura di deludere le persone, la nazione per cui giocavo, la maglia. Ma alla fine la partita iniziava e io cominciavo a giocare.”

Però anche di cosa serve per essere rugbisti in un mondo dove il rugby non è ancora considerato ovunque un lavoro: “All’inizio non avevo infrastrutture a cui appoggiarmi, non avevo il medico sempre presente al club e nemmeno altre cose che ora sono indispensabili per le società. Ma avevo la mentalità e la voglia di fare. All’inizio della stagione non puoi cominciare a pensare subito a che abilità devi possedere per superare le partite. Prima di tutto devi a pensare a divertirti. Altrimenti ci sono tanti altri modi per divertirsi.”

Ringraziamo tutti i presenti che hanno preso parte alla serata, la Società, l’Associazione Stella Polare, il traduttore d’eccezione Francesco Perozzo e ovviamente il Coach Kieran Crowley.

di Chiara Bustreo Pinkie

In allegato: Kieran James Crowley.
Foto: Ettore Griffoni.

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